italian
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Me ne indicò molti altri uno ad uno | Molti altri mi nomò ad uno ad uno |
Mi sento come un uomo che vaneggia: mi sembra di vedere la morte dinanzi a me, vorrei difendermi e non ho armi per combattere. | Che 'n guisa d' uom che sogna, aver la morte inanzi gli occhi parme, e vorrei far difesa, e non ò l' arme. |
Chi sei tu, piuttosto, che cammini per l'Antenòra colpendo le teste degli altri, così che, se io fossi vivo, sarebbe un oltraggio troppo grave | Or tu chi se’ che vai per l’Antenora, percotendo altrui le gote, sì che, se fossi vivo, troppo fora |
Noi camminavano sulle anime che la pioggia pesante abbatte, e poggiavamo i piedi sui loro corpi inconsistenti, dall'aspetto umano | Noi passavam su per l’ombre che adona la greve pioggia, e ponavam le piante sovra lor vanità che par persona |
E la luna è ormai sotto i nostri piedi: il tempo che ci è concesso è poco e tu devi ancora vedere dell'altro | E già la luna è sotto i nostri piedi: lo tempo è poco omai che n’è concesso, e altro è da veder che tu non vedi |
Questa loro alterigia non è cosa nuova | Questa lor tracotanza non è nova |
Ora ti dirò la verità e tu riferiscila ai vivi: l'angelo di Dio mi prese, e quello d'Inferno gridava: "O tu del cielo, perché mi togli ciò che mi spetta" | Io dirò vero e tu ‘l ridì tra’ vivi: l’angel di Dio mi prese, e quel d’inferno gridava: "O tu del ciel, perché mi privi" |
Tutte le bellezze sono perfezionate a causa vostra, e ciascuon fiore fiorisce a suo modo il giorno in cui voi vi fate vedere. | Per voi tutte bellezze so' afinate, e ciascun fior fiorisce in sua manera lo giorno quando vo' vi dimostrate. |
E la mia guida rispose: | E ’l duca mio a lui: |
poiché fu lì che io entrai nella fede, che rende le anime vicine a Dio, e in seguito san Pietro girò intorno alla mia fronte dopo avermi esaminato su quella virtù | però che ne la fede, che fa conte l’anime a Dio, quivi intra’ io, e poi Pietro per lei sì mi girò la fronte |
Non posso negare quello che mi chiedi | Io non posso negar quel che tu chiedi |
E il maestro, che mi vide così attento, disse: | E ’l duca che mi vide tanto atteso, disse: |
Io udivo delle voci, e ognuna sembrava pregare per la pace e la misericordia l'Agnello di Dio, che toglie i peccati dal mondo | Io sentia voci, e ciascuna pareva pregar per pace e per misericordia l’Agnel di Dio che le peccata leva |
Una volta che il sole, con la sua forza, ha tratto fuori dalla pietra ogni impurità, la stella le conferisce la sua proprietà: alla stessa maniera nel cuore, che la natura ha reso eletto, puro e gentile, nasce l'amore per l'influsso della donna, simile all'influsso della stella. | Poi che n'ha tratto fòre per sua forza lo sol ciò che li è vile, stella li dà valore: così lo cor ch'è fatto da natura asletto, pur, gentile, donna a guisa di stella lo 'nnamora. |
O folle Aracne, ti vedevo già mezza tramutata in ragno, triste sugli stracci dell'opera che tu producesti a tuo danno | O folle Aragne, sì vedea io te già mezza ragna, trista in su li stracci de l’opera che mal per te si fé |
infatti a Ubertino Donati non piacque che il suocero lo avesse imparentato con loro | sì che non piacque ad Ubertin Donato che poi il suocero il fé lor parente |
infatti, con la grazia di cui sei oggetto ci fai stupire di una cosa che non è mai avvenuta | ché tu ne fai tanto maravigliar de la tua grazia, quanto vuol cosa che non fu più mai |
ed essi infiammarono a loro volta l'imperatore, al punto che i miei onori si trasformarono in lutti | e li ’nfiammati infiammar sì Augusto, che ’ lieti onor tornaro in tristi lutti |
Come colui che ascolta un grande inganno che gli è stato fatto, e poi se ne rammarica, così fece Flegiàs ardendo d'ira | Qual è colui che grande inganno ascolta che li sia fatto, e poi se ne rammarca, fecesi Flegiàs ne l’ira accolta |
Sono sceso lungo i gradini della scala santa solo per festeggiare la tua presenza, con parole e con la luce che mi avvolge | Giù per li gradi de la scala santa discesi tanto sol per farti festa col dire e con la luce che mi ammanta |
chi è più scellerato di colui che cerca di forzare il giudizio divino, prevedendo il futuro | chi è più scellerato che colui che al giudicio divin passion comporta |
Questi ordini ammirano tutti verso l'alto e attirano a sé il mondo inferiore, cosicché tutti sono attratti da Dio e attraggono a loro volta il mondo a sé | Questi ordini di sù tutti s’ammirano, e di giù vincon sì, che verso Dio tutti tirati sono e tutti tirano |
Ma non senza il volere del destino, roma, nostra capitale, è ora affidata alle tue braccia che possono scuoterla forte e sollevarla. | Ma non senza destino a le tue braccia, che scuoter forte e sollevarla ponno, è or commesso il nostro capo, roma. |
ora può passare di lì senza timore chiunque non volesse parlare con gli uomini virtuosi o avvicinarsi a loro, per vergogna | or può sicuramente indi passarsi per qualunque lasciasse, per vergogna di ragionar coi buoni o d’appressarsi |
Questo fu l'inizio delle mie sofferenze. | Onde i miei guai nel commune dolor s'incominciaro. |
Costui non baderà alle ricchezze materiali, ma solo a quelle spirituali e la sua nascita avverrà tra feltro e feltro | Questi non ciberà terra né peltro, ma sapïenza, amore e virtute, e sua nazion sarà tra feltro e feltro |
da dove trae origine in voi questa alterigia | ond’esta oltracotanza in voi s’alletta |
Dunque, o lettore, alza lo sguardo con me alle sfere celesti, proprio verso quel punto in cui i due movimenti opposti si intersecano | Leva dunque, lettore, a l’alte rote meco la vista, dritto a quella parte dove l’un moto e l’altro si percuote |
Noi voltammo le spalle alla triste fossa di Malebolge, lungo l'argine roccioso che la circonda, e procedemmo senza parlare | Noi demmo il dosso al misero vallone su per la ripa che ’l cinge dintorno, attraversando sanza alcun sermone |
Ma qui la poesia morta risorga, o sante Muse, dal momento che sono consacrato a voi | Ma qui la morta poesì resurga, o sante Muse, poi che vostro sono |
Un giovane uccellino aspetta due o tre colpi | Novo augelletto due o tre aspetta |
Quello che dalle guance fa scendere la barba sulle spalle scure, quando la Grecia fu spopolata di maschi al punto che a malapena ne restavano nelle culle, fu augure e indicò insieme a Calcante il momento propizio in Aulide per far salpare la flotta greca | Quel che da la gota porge la barba in su le spalle brune, fu - quando Grecia fu di maschi vòta, sì ch’a pena rimaser per le cune - augure, e diede ’l punto con Calcanta in Aulide a tagliar la prima fune |
Lo specchio, che è mio nemico, in cui siete solita guardare i vostri occhi, quegli occhi che amore e il cielo riveriscono, vi fa innamorare mostrandovi le vostre stesse bellezze, dolci e gioiose oltre ogni cosa mortale. | Il mio avversario, in cui veder solete gli occhi vostri, ch' amore e 'l ciel onora, colle non sue bellezze v' innamora, piú che 'n guisa mortal soavi e liete. |
Qui vidi la mia donna così felice, non appena entrò nell'astro di quel Cielo, che il pianeta stesso divenne più lucente | Quivi la donna mia vid’io sì lieta, come nel lume di quel ciel si mise, che più lucente se ne fé ‘l pianeta |
Affinché il verde terreno d'italia si colori del sangue dei barbari? | Perché 'l verde terreno del barbarico sangue si depinga? |
e non vidi mai un garzone atteso dal suo signore, o uno stalliere che veglia malvolentieri, usare la striglia come ognuno di loro usava le unghie su di sé per la smania del pizzicore, che non aveva altro sollievo | e non vidi già mai menare stregghia a ragazzo aspettato dal segnorso, né a colui che mal volontier vegghia, come ciascun menava spesso il morso de l’unghie sopra sé per la gran rabbia del pizzicor, che non ha più soccorso |
Almeno amore mi darà tanto coraggio di rilevarvi quanti sono stati gli anni dei miei dolori, i giorni e le ore. | Pur mi darà tanta baldanza amore, ch' i' vi discovrirò de' mei martiri qua' sono stati gli anni e i giorni e l'ore. |
così mi riscossi io, non appena il sonno fuggì via dalla mia faccia, e impallidii, come l'uomo spaventato che raggela | che mi scoss’io, sì come da la faccia mi fuggì ‘l sonno, e diventa’ ismorto, come fa l’uom che, spaventato, agghiaccia |
e quel bizzarro spirito fiorentino si mordeva da sé coi denti | e ’l fiorentino spirito bizzarro in sé medesmo si volvea co’ denti |
L'amore torna regolarmente nel cuore d'animo nobile, come l'uccello nel bosco ritorna in mezzo al verde. | Al cor gentil rempaira sempre amore come l'ausello in selva a la verdura. |
cominciò a dire Pluto con la voce roca | cominciò Pluto con la voce chioccia |
Ma dimmi, se lo sai, perché poco fa il monte fu scosso dal terremoto e perché sembrò gridare a una voce fino alle sue pendici bagnate dal mare | Ma dimmi, se tu sai, perché tai crolli diè dianzi ‘l monte, e perché tutto ad una parve gridare infino a’ suoi piè molli |
Qual è la sua colpa, se non crede | ov’è la colpa sua, se ei non crede |
Se anche tu tacessi o negassi ciò che confessi, la tua colpa non sarebbe meno evidente: la apprendo da un giudice così infallibile | Se tacessi o se negassi ciò che confessi, non fora men nota la colpa tua: da tal giudice sassi |
Guarda se hai mai visto qualcuno di noi nel mondo, così che tu possa portare sue notizie sulla Terra: suvvia, perché continui a camminare | Guarda s’alcun di noi unqua vedesti, sì che di lui di là novella porti: deh, perché vai |
Io sentivo intonare 'Osanna' di coro in coro, verso il punto fisso che li tiene e sempre li terrà in quella posizione in cui sempre furono | Io sentiva osannar di coro in coro al punto fisso che li tiene a li ubi, e terrà sempre, ne’ quai sempre fuoro |
Io fui la radice della pianta maligna che fa ombra a tutta la Cristianità, cosicché raramente se ne colgono buoni frutti | Io fui radice de la mala pianta che la terra cristiana tutta aduggia, sì che buon frutto rado se ne schianta |
Grazie a te divenni poeta e cristiano: ma affinché tu capisca meglio ciò che dico, aggiungerò altri particolari | Per te poeta fui, per te cristiano: ma perché veggi mei ciò ch’io disegno, a colorare stenderò la mano |
vedi che a me non dispiace, e tuttavia brucio tra le fiamme | vedi che non incresce a me, e ardo |
così io vidi muoversi verso di noi la testa di quella schiera di anime fortunate, pudiche nell'aspetto e dignitose nei movimenti | sì vid’io muovere a venir la testa di quella mandra fortunata allotta, pudica in faccia e ne l’andare onesta |
Desidero la morte e chiedo aiuto per continuare a vivere. | E bramo di perir e cheggio aita. |
Il trascorrere del tempo cambia e distrugge boschi, sassi, campagne, fiumi, montagne e ogni cosa creata. | Selve sassi campagne fiumi e poggi, quanto è creato, vince e cangia il tempo. |
ahimè, terra crudele, perché non ci hai inghiottito | ahi dura terra, perché non t’apristi |
aspetta a riposarti qui | quivi di riposar l’affanno aspetta |
Verranno a cozzare in eterno: gli avari risorgeranno dalla tomba col pugno chiuso, i prodighi coi capelli tagliati | In etterno verranno a li due cozzi: questi resurgeranno del sepulcro col pugno chiuso, e questi coi crin mozzi |
Che presunzione hai avuto? | Che presomisti? |
Roma, che costruì il mondo virtuoso, era solita avere due soli, che indicavano entrambe le strade, del mondo e di Dio | Soleva Roma, che ’l buon mondo feo, due soli aver, che l’una e l’altra strada facean vedere, e del mondo e di Deo |
Durante la mia giovinezza mi piacque così tanto la dolce luce degli occhi di laura che affrontai con piacere ogni difficoltà, pur di avvicinarmi ai rami dell'alloro da me tanto amati. | Tanto mi piacque prima il dolce lume ch' i' passai con diletto assai gran poggi per poter appressar gli amati rami. |
Io risposi: | Io rispuosi: |
Un uomo superbo per la sua nobiltà di nascita dice | Dis' omo alter |
Virgilio iniziò: | Virgilio incominciò: |
Forse il mio racconto oscuro, simile a quello di Temi o della Sfinge, non ti convince molto, perché affatica il tuo intelletto come facevano loro | E forse che la mia narrazion buia, qual Temi e Sfinge, men ti persuade, perch’a lor modo lo ‘ntelletto attuia |
Da quassù si vedono per tutti i pascoli dei lupi famelici nelle vesti di pastori: o vendetta divina, perché tardi ad arrivare | In vesta di pastor lupi rapaci si veggion di qua sù per tutti i paschi: o difesa di Dio, perché pur giaci |
Abbiamo pazientato troppo | Troppo avem sofferto |
Qui, con gesti e parole eleganti, ingannò Isifile, la giovinetta che per prima aveva ingannato tutte le altre | Ivi con segni e con parole ornate Isifile ingannò, la giovinetta che prima avea tutte l’altre ingannate |
Io temo che cambierò il mio volto e i miei capelli, prima che il mio idolo, scolpito in vivo lauro, mi mostri i suoi occhi colmi di vera pietà: giacché, se non sbaglio il conto, oggi, sono già sette anni, da quando io vado sospirando di contrada in contrada, giorno e notte, con il caldo come con la neve. | I' temo di cangiar pria volto e chiome, che con vera pietà mi mostri gli occhi l'idolo mio scolpito in vivo lauro: ché s'al contar non erro, oggi à sett' anni che sospirando vo di riva in riva la notte e 'l giorno, al caldo ed a la neve. |
Beatrice si comportò come Daniele quando placò l'ira di Nabucodonosor, che era diventato ingiustamente crudele | Fé sì Beatrice qual fé Daniello, Nabuccodonosor levando d’ira, che l’avea fatto ingiustamente fello |
e non temere, qualunque offesa mi sia rivolta, perché so cosa devo fare in quanto già un'altra volta partecipai a una tale contesa | e per nulla offension che mi sia fatta, non temer tu, ch’i’ ho le cose conte, perch’altra volta fui a tal baratta |
Fa' che le tue parole siano misurate | Le parole tue sien conte |
Egli disse, mentre intanto camminavamo veloci: | Diss’elli, e parte andavam forte: |
Che cos'hai, Bocca | Che hai tu, Bocca |
La bestia a ogni passo va più veloce, sempre più rapida, finché essa lo percuote e lascia il corpo orrendamente sfigurato | La bestia ad ogne passo va più ratto, crescendo sempre, fin ch’ella il percuote, e lascia il corpo vilmente disfatto |
Lungo l'asse orizzontale e quello verticale della croce si muovevano dei lumi attraverso il raggio di luce che talvolta illumina l'ombra, che la gente si procura per difendersi dal sole con ingegno e arte | Di corno in corno e tra la cima e ‘l basso si movien lumi, scintillando forte nel congiugnersi insieme e nel trapasso: così si veggion qui diritte e torte, veloci e tarde, rinovando vista, le minuzie d’i corpi, lunghe e corte, moversi per lo raggio onde si lista talvolta l’ombra che, per sua difesa, la gente con ingegno e arte acquista |
sconta questa pena colui che sulla Terra ha troppo osato | cotal moneta rende a sodisfar chi è di là troppo oso |
E lui a me: | Ed elli a me: |
Se ciò fosse causato solo dalla differente densità, allora in tutti sarebbe presente la medesima virtù, distribuita in misura maggiore, minore o uguale | Se raro e denso ciò facesser tanto, una sola virtù sarebbe in tutti, più e men distributa e altrettanto |
O luce, o gloria dell'umanità, che fiumi sono questi due che nascono da una stessa sorgente e poi si separano l'uno dall'altro | O luce, o gloria de la gente umana, che acqua è questa che qui si dispiega da un principio e sé da sé lontana |
Come fa l'onda presso Cariddi, quando si infrange con quella che proviene da Scilla, così quei dannati devono danzare la ridda | Come fa l’onda là sovra Cariddi, che si frange con quella in cui s’intoppa, così convien che qui la gente riddi |
E io: | E io: |
Come lo studioso di geometria, che si ingegna con tutte le sue forze per misurare la circonferenza e non trova, pensando, quell'elemento di cui manca, così ero io davanti a quella visione straordinaria: volevo capire come l'immagine umana si inscrivesse nel cerchio e in che modo si collocasse al suo interno | Qual è ‘l geomètra che tutto s’affige per misurar lo cerchio, e non ritrova, pensando, quel principio ond’elli indige, tal era io a quella vista nova: veder voleva come si convenne l’imago al cerchio e come vi s’indova |
Maestro, tu che superi tutte le cose tranne i diavoli ostinati che ci uscirono incontro sulla soglia della porta, chi è quel grande che non sembra preoccuparsi dell'incendio e giace sprezzante e torvo, così che la pioggia di fuoco non sembra procurargli dolore | Maestro, tu che vinci tutte le cose, fuor che ’ demon duri ch’a l’intrar de la porta incontra uscinci, chi è quel grande che non par che curi lo ’ncendio e giace dispettoso e torto, sì che la pioggia non par che ’l marturi |
Il fuoco eterno che le arroventa all'interno le fa diventare di quel colore, come tu vedi in questo basso Inferno | Il foco etterno ch’entro l’affoca le dimostra rosse, come tu vedi in questo basso inferno |
Quell'azione gli permise di accedere subito alla Cornice | Quest’opera li tolse quei confini |
e vedevo una donna, sulla porta, che diceva con l'atteggiamento dolce di una madre: | e una donna, in su l’entrar, con atto dolce di madre dicer: |
Voi che ascoltate in queste poesie il suono di quei sospiri con i quali io nutrivo il mio cuore al tempo del mio errore giovanile, quand'ero in parte un uomo diverso da quello che sono adesso, spero di trovare la compassione e il perdono tra coloro che capiscono l'amore perché lo hanno provato, perdono dello stile diseguale nel quale io rifletto piangendo fra la vana speranza e il vano dolore. | Voi ch'ascoltate in rime sparse il suono di quei sospiri ond'io nudriva 'l core in sul mio primo giovenile errore, quand'era in parte altr'uom da quel ch' i' sono, del vario stile in ch'io piango e ragiono, fra le vane speranze e 'l van dolore, ove sia chi per prova intenda amore, spero trovar pietà, non che perdono. |
O mie fratelli, la pace di Dio sia con voi | O frati miei, Dio vi dea pace |
Io andavo pensando | Io gia pensando |
una era rossa, a tal punto che si sarebbe a malapena notata dentro il fuoco | l’una tanto rossa ch’a pena fora dentro al foco nota |
Il principe dei nuovi Farisei, mentre combatteva una guerra vicino al Laterano, e non contro Saraceni o Giudei, poiché ogni suo nemico era cristiano, e nessuno di questi aveva assediato Acri o aveva mercanteggiato nella terra del Soldano | Lo principe d’i novi Farisei, avendo guerra presso a Laterano, e non con Saracin né con Giudei,ché ciascun suo nimico era cristiano, e nessun era stato a vincer Acri né mercatante in terra di Soldano |
quello è un messo celeste che viene a invitarci a salire | messo è che viene ad invitar ch’om saglia |
infatti alla giusta domanda devono seguire i fatti e non le parole | ché la dimanda onesta si de’ seguir con l’opera tacendo |
non avere disdegno di deporci dove il freddo trasforma in ghiaccio il lago di Cocito | mettine giù, e non ten vegna schifo, dove Cocito la freddura serra |
Stazio rispose: | Rispuose Stazio: |
Ne uscirà senz'armi, tranne che la lancia del tradimento con cui si batté Giuda, e la userà in modo tale da fare scoppiare la pancia a Firenze | Sanz’arme n’esce esolo con la lancia con la qual giostrò Giuda, e quella ponta sì ch’a Fiorenza fa scoppiar la pancia |
E lui a me: | E quelli a me: |
Sarei davvero troppo furbo se procurassi ai miei compagni di pena nuovi tormenti | Malizioso son io troppo, quand’io procuro a’ mia maggior trestizia |
E gli animi sono pieni di un'abitudine pessima e antica, nemica sempre della verità, tenterai la tua fortuna tra pochi dall'animo grande ai quali piace il bene. | Proverai tua ventura fra' magnanimi pochi a chi 'l ben piace. |
Per seguirla da fanciulla fuggii dal mondo e vestii il suo abito, promettendo di seguire la regola del suo Ordine | Dal mondo, per seguirla, giovinetta fuggi’mi, e nel suo abito mi chiusi e promisi la via de la sua setta |
Sono di Firenze e ho sempre appreso ascoltando le vostre opere e i vostri nomi onorevoli, con grande affetto | Di vostra terra sono, e sempre mai l’ovra di voi e li onorati nomi con affezion ritrassi e ascoltai |
All'inizio di queste parole la danza delle tre luci si arrestò insieme con la dolce mescolanza del loro canto, proprio come tutti i rematori lasciano cadere i remi - con cui prima fendevano l'acqua - al fischio del timoniere, per porre fine alla fatica o evitare un pericolo | A questa voce l’infiammato giro si quietò con esso il dolce mischio che si facea nel suon del trino spiro, sì come, per cessar fatica o rischio, li remi, pria ne l’acqua ripercossi, tutti si posano al sonar d’un fischio |